Gioventù

Gioventù

Completate le elementari a Malo, Meneghello nel 1932 supera brillantemente l’esame di ammissione al ginnasio inferiore a Vicenza, dove frequenta i tre anni del “ginnasietto” e i due del ginnasio superiore presso il “Regio Ginnasio Liceo Classico Pigafetta”. Nel 1937 la famiglia si trasferirà in città, in Stradella San Marcello, a pochi passi dalla scuola,Leggi tutto per consentire ai figli di studiare con più agio. Il padre dal 1936 all’inizio del 1940 lavorerà col fratello Francesco in Etiopia. Dopo i primi mesi della seconda liceo Meneghello si ritira per sostenere come privatista l’esame di maturità con un anno di anticipo. Nell’ottobre del 1939 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Padova. Si considera per un anno studente di Lettere, poi passa a Filosofia. 
Come membro dei GUF (Gruppi universitari fascisti) padovani partecipa e vince, a soli 18 anni (è il “Littore giovanissimo”), il Convegno di Dottrina fascista ai Littoriali di Bologna del 1940. A seguito di questo risultato ha l’opportunità – offerta dal regime – di svolgere, dal 1940 al 1942, un apprendistato come giornalista presso il quotidiano di Padova “Il Veneto”, diretto da Carlo Barbieri. Si laurea con una tesi orale (come era consentito a chi aveva partecipato alla lotta partigiana) su «La Critica», la rivista fondata da Benedetto Croce, il 17 dicembre 1945. Nello stesso giorno si laurea anche l’amico Licisco Magagnato (il Franco dei Piccoli maestri) futuro storico dell’arte e direttore del Museo di Castelvecchio di Verona.
Gigi, Bruno e Gaetano con la madre (11 maggio 1936)

Asmara 9_6_1936_

Carissima Pia,

[…] Questa mattina ho ricevuto le due tue una del 26_ e una del 31_ mi sono state più che care specialmente quella del 26 con la fotografia dei ragazzi e i ellogi di Gigi che non ti nascondo ho pianto dalla contentezza, dico il vero non sono degno di tanto. Ti puoi figurare se non sono desideroso di vederli tutti, unito anche te che quello e un desiderio ancor più grande ma diferente.
[…] nell’attesa che sarà lunghissima vi bacio tutti, salutami tutti di famiglia a te un abbraccio affettuoso tuo Cleto
MEN-08-V576

chiudi torna all’indice

Gigi, Bruno e lo zio Dino

Noi nipoti ci trattava come suoi figli o fratelli minori, era evidente l’intenzione di educarci, e avrebbe voluto che fossimo bravi nello sport; ci comprò i guantoni da boxe e il punci-bàl e seguì in moto la mia prima corsa in bicicletta. (Libera nos a malo, BUR 2022, p. 237)

chiudi torna all’indice

«Dov’è il poeta?»

S. compose un’ode in cui c’era l’intero popolo italiano che faceva una marcia lunga su per il colle della storia o del destino, di cui nel finale all’improvviso si vedeva la cima. 
Sul sommo, eretto contro il sol fulgente,
Chino il capo, le braccia al sen conserte,
Mirando il quadro della grande ascesa
Sta Mussolini.
Era un tema per qualche concorso o ludo scolastico. I professori che non avevano il privilegio di avere S. nella propria classe, lo cercavano nei corridoi. «Dov’è il poeta? Sei tu il poeta?» Ma il professor Fasolo che quel privilegio ce l’aveva, non fu affatto contento. Non lo contrariò, solo gli disse: «Guarda che questi versi non si fanno veramente così. Ci vuole sempre un quinario e poi un senario, altrimenti addio metro barbaro». (Fiori italiani, BUR 2022, pp. 99-100)

chiudi torna all’indice

«Ho definitivamente deciso di fare gli esami». Lettera al padre in Etiopia (1939)

Alla fine della prima liceo, trovando lento il sistema, S. pensò di tagliar corto e fare i due anni rimanenti in uno, da solo: correndo così incontro al più importante degli esami, la “maturità”. Aveva sedici anni, essendo già un anno “avanti”, e in fatto di maturità effettiva era un bambino; ma nessuno gli disse di non fare lo stupido, nessuno minacciò di sculacciarlo. Così, dopo un mese o due in seconda, proprio quando un po’ di germogli dovrebbero mettersi a fiorire, si “ritirò”, si fece prestare i libri di terza dalla figlia di un conoscente, che si chiamava Vittorina, li mise insieme con quelli di prima e di seconda che aveva già, li contò e cominciò a studiarli uno dietro l’altro. Erano cinquantatré. (Fiori italiani, BUR 2022, p. 154)

chiudi torna all’indice

«Una cerimonia d’altro tipo, più simile a una festa». L’esame di maturità

Da lontano gli esami si presentavano abbastanza spaventevoli, una di quelle cerimonie d’iniziazione in cui ti sottopongono a una serie di prove non proprio genuine ma nemmeno del tutto incruente; di fatto furono invece una cerimonia d’altro tipo, più simile a una festa. 
Fu l’ultimo anno, credo, di esami “regolari”, cioè su tutte le materie e coi programmi pieni. A parte la frenologia e la storia della musica, c’erano tutti i rami riconosciuti dello scibile, e il giovinetto veniva invitato a fare le sue evoluzioni su ciascuno di essi a turno, davanti a gruppi di adulti consenzienti. […]

Leggi tutto

Appariva naturale non solo “sapere” le più diverse cose, ma saperle tutte allo stesso livello, saltando da un ramo all’altro a intervalli di venti minuti. Nel caso di S. (che del resto aveva studiato anche un po’ di frenologia) gli esercizi più importanti furono sull’italianità del Foscolo, la stupenda serie dei nervi cranici, i ritratti di Raffaello, lo storicismo, i principi dell’ottica, Brunetto Latini all’inferno, i logaritmi, le fanerogame, Anselmo d’Aosta, i bisolfati, i sanniti, gli obici, il marito di Alcesti con molti molti altri minori. 
Si sentiva non esaminato ma festeggiato. (Fiori italiani, BUR 2022, pp. 155-156)

torna all’indice

 Il littore giovanissimo

[…] ai littoriali di Bologna, maggio 1940, guerra in arrivo, prevalsero le parti tristi, lo shock che lo prese quando ebbe “vinto”, tardi alla sera, e tornò all’albergo dove stavano i padovani. Erano a tavola, lo conoscevano poco (era di alcuni anni più giovane di tutti i presenti), dicevano meccanicamente, come è andata? e lui stentò molto a trovare la voce per dirglielo. Seguirono grida, feste, canzoni; in mezzo alle quali si sentì tutt’a un tratto così alieno, così incapace di fare qualunque cosa […] che di nuovo dovette affrettarsi a seppellire tutto per non pensarci più. (Fiori italiani, BUR 2022, p. 210)

chiudi torna all’indice

 L’apprendistato al quotidiano di Padova «Il Veneto»

Ai “littori” del ’40 era stata offerta la possibilità di farsi assumere da un giornale, in veste di apprendisti soprannumerari di mezzo-lusso, cioè con un sussidio un po’ più alto dello stipendio di un praticante vero e proprio: mille lire al mese, metà di un professore universitario in cattedra, il doppio di una maestra elementare. […] Gli fu assegnata una sua stanza, come ai redattori più importanti, e da un giorno all’altro si trovò diventato giornalista, se questa è la parola giusta. L’incarico più preciso era quello di prosatore anonimo di prima e di terza, ma anch’esso non era molto preciso. Scriveva quando voleva, quanto voleva e come voleva. […]  I “pezzi” veri e propri gli creavano delle difficoltà, ma di carattere personale, non politico […]. Gli piaceva fare i sottoclichés. Sono cose astratte (parole) intorno a cose concrete (immagini): in teoria servono a spiegarle, in realtà le cambiano. […] Qualche cosa di simile accadeva coi titoli, col loro complemento di “occhielli” e “sommari”. […] In pratica veniva assumendo la funzione di un assistente personale del direttore. (Fiori italiani, BUR 2022, pp. 213-216)

torna all’indice

La commemorazione del discorso del 3 gennaio 1925 all’Istituto Musicale “Canneti”

Mi avevano invitato a commemorare il 3 gennaio a una cerimonia ufficiale da tenersi all’istituto Canneti. Il federale mi mandò a chiamare e fece l’invito. […] Loro non sapevano che già da qualche stagione frequentavo Antonio Giuriolo, e ormai ero praticamente iscritto all’opposizione clandestina. Con grande emozione concepii l’idea di fare un discorso di critica del regime. […] Venuto il giorno il prefetto, il federale e le autorità ascoltarono nella sala del Canneti un’analisi del discorso del Duce del 3 gennaio fondata fin dalla prima frase sulla parola “dittatura”. Dissi che la decisione annunciata dal Duce nel 1925 era stata semplicemente questa: di inaugurare la dittatura. Una decisione rischiosa, da valutare in base ai suoi effetti negli anni successivi: e il banco di prova decisivo era la guerra in corso.
Non è facile far sentire oggi la natura scandalosa e sediziosa di questo commento.

Leggi tutto

Per fortuna avevo istintivamente adottato un tono problematico, giovanile, e questo consentì di evitare lo scandalo quasi inconcepibile di una immediata sconfessione sul campo, magari con cattura e castigo per direttissima dell’oratore ufficiale. La gente che assisteva, d’altro canto, aveva reagito con un calore e una commozione che mi toccarono profondamente. Non era l’applauso di banale ammirazione a cui ero abituato ai Littoriali. Era una cosa nuova. […] quella frase «Oggi sei stato in trincea», me la disse sulla porta, come un saluto e un ultimo omaggio. 
Oggi capisco che la sua approvazione [di un funzionario minore, già segretario del fascio di Malo, n.d.r.], l’implicita polemica contro il regime, significava probabilmente tutt’altro da ciò che credetti allora: era cioè di ispirazione fascista-estremistica, basata sull’idea che non c’era abbastanza fascismo nel fascismo, non abbastanza fermezza, o crudezza, o ferocia. (Bau-sète!, BUR 2021, pp. 74-75)

torna all’indice

«La fila delle lodi»

In generale quando S. faceva un esame, almeno nel ’40 e nel ’41, il Maestro che glielo faceva s’innamorava, forse di nostalgia, S. pareva così giovane. Ben presto si formò uno schema, quasi un piccolo sistema nel sistema: aprivano il libretto, guardavano la fila delle lodi e gli dicevano «Dica quello che vuole», con conseguenze irrimediabili. Fu come dover dare un sacco di risposte a una sola domanda. *
Imparò qualcos’altro nei due esami che fece con lui [il professor Cessi, docente di Storia Medioevale e Moderna, n.d.r.] a guerra finita, oltre i limiti di questa storia: i soli esami in cui, alla fine di un ridicolo libretto senza trenta, prese tutt’altro che due lodi. (Fiori italiani, BUR 2022, pp. 168, 120)

torna all’indice

Il papiro di laurea con due teste

[…] veniamo a un’altra festa di spicco, la gran festa autunnale della laurea mia e di Franco (ci siamo laureati insieme, nello stesso giorno, e il papiro che ci fecero fu uno solo, con due teste: è strano come ci eravamo appaiati nella vita, Franco e io). Fu un’occasione memorabile, nota fra noi come la festa dei quaranta professionisti ubriachi; che andò a finire per me tra i palladiani colonnati della Basilica, sotto i quali, disteso per terra dalla parte che dà sulla piazza delle Erbe, girando molto vivacemente attorno a me le colonne e l’intera Basilica e le sue piazze, a un certo punto della mia festa di laurea mi addormentai. O forse, prima svenni e poi passai con comodo dallo svenimento al sonno. (Bau-sète!, BUR 2022, pp. 47-48)

torna all’indice